Dei e uomini 2

Talvolta gli eroi omerici imputano agli Dei azioni che una lettura affrettata potrebbe interpretare come un influsso divino anche nel campo delle virtù personali degli uomini: quando, ad esempio, si dice che Zeus può mettere in fuga anche il più valoroso e togliergli la vittoria (Il. XVI, 688-690), o quando Zeus invia un sogno ingannatore ad Agamennone, oppure quando Atena toglie il senno a qualcuno. Ma ad un più attento esame si nota che Zeus può sì volgere in fuga il prode, ma non può togliergli il coraggio se non temporaneamente – non può insomma trasformare un prode in un vile – e certamente non accade mai che renda valoroso un pusillanime, mentre Atena toglie il senno a coloro che non sono proprio tra i più saggi: quanto al sogno di Agamennone, poi, diciamo pure che il comandante degli Achei non aveva bisogno che fosse proprio Zeus ad inviargli un sogno fallace, dal momento che si ingannava molto spesso da solo e anche quando era ben sveglio.

Se l’uomo spesso può ingannarsi da solo, gli Dei non sempre dicono la verità. Omero infatti fa notare che i sogni mandati dagli Dei possono anche essere falsi: non è un’idea blasfema, ma un grande esempio di saggezza “politica”. Omero non è così ingenuo da ignorare il fatto che la devozione religiosa possa essere talvolta, per non dire spesso, manipolata da individui senza scrupoli allo scopo di imporre al resto del popolo le proprie “visioni”. E sa benissimo anche che risulta estremamente complesso competere in sottigliezza con i “visionari”: se Agamennone, per esempio, dice di aver ricevuto un sogno da Zeus non è facile dimostrare il contrario, ma se si fa accettare il fatto che Zeus possa anche mandare sogni fallaci l’impatto della presunta “illuminazione” divina ricevuta da Agamennone o da chiunque altro sarà molto più sottoposta al vaglio della ragione umana, che dovrà in ogni caso attivarsi per capire se si tratti di un inganno o no. In poche parole, senza dare del bugiardo al “sognatore”, lo si tiene comunque sotto controllo.

Continua a leggere

Gli Dei e la giustizia 2

E’ stato spesso notato il fatto che gli Dei di Omero non agiscano da “giustizieri” per punire le cattive azioni. Forse essi non intervengono in ogni singolo caso, ma semplicemente non corrisponde al vero affermare che non si curino della giustizia: l’Iliade si apre proprio con due esempi di ingiustizie subite, e punite da una diretta intromissione divina. Esplicitamente Omero rileva come l’arroganza di Agamennone sia causa, in rapida successione, degli interventi prima di Apollo in difesa di Crise, e poi di Zeus, a sostegno delle ragioni di Achille. In quest’ultimo caso, soprattutto, Achille potrebbe anche farsi giustizia da solo, ma preferisce astenersi dalla violenza e confidare nella parola degli Dei che lo esortano alla pazienza: è evidente che il poeta insiste su questo aspetto, spesso mettendo in risalto le conseguenze nefaste della tracotanza degli uomini.

Omero non è dogmaticamente ossessionato dal dover dimostrare l’intervento degli Dei e non si affanna a cercare prove della punizione divina nelle vite dei mortali, tuttavia afferma chiaramente che gli Dei amano la giustizia (Od. XIV, 83-84):

gli Dei beati non amano le azioni malvagie,
ma hanno care la giustizia e le buone azioni degli uomini.

Zeus si adira (Il. XVI, 387-388) con coloro che

con violenza in assemblea decidono leggi ingiuste,
e disprezzano la giustizia, non curando lo sguardo degli Dei.

Continua a leggere

Ἄτη e responsabilità

Per comprendere meglio le dinamiche della decisione individuale nell’azione umana secondo Omero occorre valutare il ruolo della Ate, dell’accecamento che porta all’errore. Dopo la morte di Patroclo, al momento della riconciliazione con Achille, Agamennone discolpandosi davanti all’assemblea degli Achei cerca di attribuire la responsabilità della discordia che tanto aveva danneggiato l’esercito su soggetti ben più potenti di lui (Il. XIX, 86-91):

… ma non sono io la causa,
bensì Zeus e la Moira e l’Erinni vagante nell’oscurità,
che in assemblea mi scagliarono in petto l’atroce Ate,
il giorno in cui portai via ad Achille il suo premio.
Ma cosa avrei potuto fare? Il Dio porta ogni cosa al suo termine.
Ate è figlia primogenita di Zeus, e a tutti acceca la mente.

Neppure Zeus potè sfuggirle, osserva l’Atride. Tuttavia, egli stesso in un’altra occasione aveva detto (Il. II, 375-378):

ma a me Zeus Cronide signore dell’egida ha procurato dolori,
che mi getta in vane contese e contrasti.
E infatti io e Achille ci siamo scontrati con parole violente per la ragazza
ma io ho cominciato mostrandomi ostile.

Continua a leggere

Padri e figli

La società omerica tende a mantenere armonia tra le generazioni: nonostante il rispetto riconosciuto verso i più anziani, i rapporti tra vecchi e giovani sono ben più sfumati di un semplice prevalere degli uni sugli altri. Se l’anziano è rispettato, molto raramente prende decisioni cruciali, riservate agli uomini nel pieno del vigore. Esiste un mirabile equilibrio che consente di mantenere quel necessario rispetto che ispira l’emulazione delle virtù affermando, generalmente per bocca dei più anziani, che i vecchi erano migliori. Così, quando Agamennone vuole rimproverare Diomede, gli dice (Il. IV, 399-400):

tale era l’etolo Tideo; ma il figlio
lo ha generato inferiore a lui in battaglia, migliore invece in assemblea.

Ciò nonostante, gli uomini maturi non si sentono affatto intimoriti dagli illustri esempi dei padri, anzi a volte si considerano addirittura migliori, come dimostra la risposta di Stenelo ad Agamennone (Il. IV, 404-410):

Atride, non dire il falso conoscendo la verità;
certo noi ci vantiamo di essere molto migliori dei padri;
noi abbiamo espugnato Tebe dalle sette porte,
avendo condotto un esercito meno numeroso contro mura più forti,
confidando nei prodigi degli Dei e nell’aiuto di Zeus;
quelli invece sono andati in rovina per la loro empietà;
quindi non tenere i padri in considerazione quanto noi.

Continua a leggere

Vergogna e fuga

In Omero il senso dell’onore ha un suo fondamentale sostegno in quello che potremmo chiamare l’orrore per la vergogna. Agamennone nel vivo della battaglia esorta i suoi dicendo (Il. V, 529-532):

amici, siate uomini e rendete valoroso il cuore,
abbiate vergogna gli uni degli altri nella battaglia violenta;
tra gli uomini che provano vergogna sono più numerosi i salvi degli uccisi;
da coloro che fuggono né sorge la gloria né un aiuto.

Un comportamento onorevole non è solo migliore dal punto di vista della reputazione, ma è anche il più utile, fornendo maggiori garanzie di sopravvivenza, poiché mantenendo il controllo gli uomini possono anche portarsi quel reciproco aiuto che viene meno nella fuga: Omero ci aveva fatto notare come all’inizio della battaglia gli Achei si schierassero «desiderando nell’animo di difendersi l’un l’altro» (Il. III, 9), e ribadisce durante la mischia l’importanza decisiva di questo atteggiamento.

Continua a leggere

Errore e colpa

In Omero l’uomo si comporta eticamente in quanto sa, conosce cosa è giusto fare, e deve solo “ricordarsene”; in caso contrario è talmente sconcertato dall’aver potuto dimenticarsene che attribuisce questo obnubilamento ad una forza divina che ne ha provocato l’errore, la Ate – personificazione appunto dell’accecamento che conduce all’errore. Come quando Agamennone, ripensando alla lite con Achille, dice (Il. XIX, 86-91):

… ma non sono io la causa,
bensì Zeus e la Moira e l’Erinni vagante nell’oscurità,
che in assemblea mi scagliarono in petto l’atroce Ate,
il giorno in cui portai via ad Achille il suo premio.
Ma cosa avrei potuto fare? Il Dio porta ogni cosa al suo termine.
Ate è figlia primogenita di Zeus, e a tutti acceca la mente.

Forza e saggezza

Il ruolo della forza nell’Iliade è senza alcun dubbio estremamente rilevante e questo è subito evidente. Ma non va sopravvalutato. Sia Agamennone che Achille esprimono chiaramente il fatto che la maggiore forza o importanza non danno per questo il diritto di insultare. Dice Agamennone del Pelide (Il. I, 290):

se gli Dei immortali lo resero abile con la lancia,
per questo gli consentirono di proferire insulti?

Questa osservazione è interessante: molti studiosi hanno pensato che in una società bellicosa e spesso anche brutale come questa, non fosse previsto un freno alle possibilità d’azione del forte, almeno dal punto di vista del diritto. Qui, invece, è chiaro che Agamennone non nega ad Achille il diritto di insultare lui, in quanto capo supremo degli Achei, ma pronuncia una frase di contenuto generale: il fatto che gli Dei abbiano concesso ad Achille il dono di essere un forte guerriero non implica che egli possa anche offendere. Naturalmente, nel richiamare l’altro alla moderazione, Agamennone si scorda che, se Zeus gli ha dato lo scettro, non è certo perché possa togliere ad altri la loro gloria: non tarderà molto, comunque a riconoscere il suo errore.

Continua a leggere