Dei ed individualità

L’intervento degli Dei nelle vicende umane è molto frequente in Omero e questa costante presenza divina ha provocato un fondamentale fraintendimento in molti studiosi che hanno tratto da ciò la deduzione che l’uomo descritto dal poeta fosse pertanto privo di individualità e di introspezione psicologica. Niente di più sbagliato.

La religiosità omerica può essere letta più come una divinizzazione del reale, dell’Essere in tutta la sua completezza, piuttosto che un’enunciazione di ideali e speranze; questa visione coinvolge anche il complesso meccanismo che vede gli Dei entrare in rapporto coi moti dell’animo umano. E’ stato spesso fatto notare che l’uomo omerico manca di introspezione e che nel momento in cui gli viene in mente un’idea o prova un sentimento egli ne ascrive l’ispirazione ad una divinità: questa viene addotta a prova della primitività ed ingenuità del pensiero di Omero e del fatto che i suoi eroi non siano in realtà autonomi, bensì manipolati dalla divinità.

Tuttavia Jean-Pierre Vernant sostiene una tesi piuttosto sconcertante quando afferma che gli Dei greci, pur avendo nomi e caratteristiche proprie ben delineate, non possano definirsi “persone”: «una potenza divina non ha realmente “esistenza per sé”: non ha essere se non attraverso la rete di relazioni che l’unisce al sistema divino nel suo insieme». In poche parole nei poemi omerici assisteremmo alle surreali vicende di “non individui” manipolati da altre “non persone” divinizzate; questa interpretazione però è totalmente smentita dal testo di Omero, che al contrario presenta le personalità divine perfettamente delineate, anzi talmente ben caratterizzate da lasciar spazio anche alla complessità: le multiformi relazioni, ma soprattutto le dispute tra gli Dei, non potrebbero avvenire in assenza di personalità dotate di «esistenza per sè».

Vernant non riesce a conciliare unità e molteplicità e pertanto se qualcosa ha molteplici sfaccettature a suo avviso non può essere unitaria. Ma questa tesi lo porta a conclusioni palesemente assurde. Egli sostiene infatti che «Omero ci presenta uno Zeus che ha, come personaggio, una relativa unità. Ma nel culto è al contrario la pluralità di aspetti dello stesso Dio che viene sottolineata. La religione viva dei Greci non conosce uno Zeus unico, ma Zeus diversi, qualificati da epiteti cultuali che li collegano a settori di attività definiti». Ma questo sarebbe come dire che, quando la propaganda fascista presentava un “Mussolini trebbiatore”, un “Mussolini conquistatore”, e così via con tanto di foto commemorativa, non si trattava di un “Mussolini unitariamente definito”, ma di “tanti Mussolini differenti”: tutto ciò è ovviamente assurdo, e non è meno ridicolo nel caso di Zeus. Il fatto che vengano attribuiti ad un Dio epiteti diversi a seconda dell’attività per la quale si vuole in quel caso ricordare una sua protezione, non esclude affatto l’unità del Dio in questione come “persona”, ma semplicemente indica come la sensibilità dei fedeli abbia voluto porre sotto l’influsso di tale o talatro Dio richiami ad attività diverse che nessuna legge esclude possano convivere in un individuo: dopo tutto un uomo può essere figlio, fratello, marito, padre, e che so io medico, ma anche paziente se si ammala, professore universitario e magari scrittore, senza per questo rischiare una dissociazione della propria individualità.

Omero evita di soffermarsi a descrivere i moti dell’animo del singolo, non perché ignori l’unicità di ogni individuo, ma perché trova più interessante inserire questo stesso individuo e i suoi pensieri in un tutto più ampio: costui non è una “monade” isolata che vaga tutta sola in uno spazio vuoto, bensì parte integrante di un mondo popolato nel quale nessuno è solo e nel quale anche i moti dell’animo rispecchiano la più vasta realtà dell’essere. Così ciò che accade all’interno del nostro animo in un dato momento non è il prodotto di un nostro arbitrio, ma in qualche modo il rivelarsi dentro di noi di qualcosa di eterno. Per questo Omero cerca “al di fuori” ciò che accomuna gli uomini, invece di rinchiudere il singolo in se stesso, isolandolo dal mondo.