Errore e colpa

In Omero l’uomo si comporta eticamente in quanto sa, conosce cosa è giusto fare, e deve solo “ricordarsene”; in caso contrario è talmente sconcertato dall’aver potuto dimenticarsene che attribuisce questo obnubilamento ad una forza divina che ne ha provocato l’errore, la Ate – personificazione appunto dell’accecamento che conduce all’errore. Come quando Agamennone, ripensando alla lite con Achille, dice (Il. XIX, 86-91):

… ma non sono io la causa,
bensì Zeus e la Moira e l’Erinni vagante nell’oscurità,
che in assemblea mi scagliarono in petto l’atroce Ate,
il giorno in cui portai via ad Achille il suo premio.
Ma cosa avrei potuto fare? Il Dio porta ogni cosa al suo termine.
Ate è figlia primogenita di Zeus, e a tutti acceca la mente.

Sull’onnipotenza divina

Ad Omero non è ignoto il senso dell’infinitezza e dell’immensità dell’universo, del cielo e del mare; tuttavia in questa immensità di fronte alla quale l’uomo percepisce fortemente la propria limitatezza, il poeta scorge comunque lo spirito ordinatore della divinità. Anche se il potere degli Dei è grandioso ed immenso, correttamente essi non sono onnipotenti poiché il limite – concetto così caro a tutto il pensiero greco – è un elemento imprescindibile per ogni cosa esistente.

Non che Omero ignori l’idea di un’onnipotenza divina; egli infatti dice «gli Dei possono tutto» (Od. X, 306). Non è una “carenza” dell’animo religioso di Omero, o una sua mancanza di fantasia, aver voluto moderare l’onnipotenza divina: è il frutto di precisa riflessione aver attribuito agli Dei, di per se stessi onnipotenti almeno in via di principio, un rispetto volontario e da essi liberamente accettato da una parte per la legge di natura impersonata dalla Moira e dall’altra per l’azione degli uomini.

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Uomo omerico ed Homo Sapiens

Per poter parlare di etica è necessario che il soggetto agente sia consapevole di se stesso ed in grado di autodeterminarsi: può sembrare strano a chi abbia effettivamente letto Omero, ma tale consapevolezza ed autodeterminazione è stata spesso negata dai moderni studiosi agli eroi omerici. Mi sembra necessario perciò mostrare quanto siano rilevanti nei poemi le caratteristiche individuali dei singoli, quanto essi siano coscienti della propria specificità ed autonomia, in poche parole come l’uomo descritto da Omero sia a tutti gli effetti un individuo, nel senso completo che diamo oggi a questo termine: questo tema non può essere esaurito in un unico post, e verrà quindi sviluppato anche in seguito, tuttavia possiamo cominciare ad accennare alla questione.

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Interiorità ed azione

Spesso è stato rilevato come Omero non indaghi i recessi più reconditi dell’animo umano; egli tuttavia riesce magistralmente a delineare con pochi tratti i moti dell’anima di ogni personaggio, anche il più oscuro.

Per contestualizzare in modo opportuno il discorso occorre far rilevare un aspetto essenziale, troppo spesso ignorato. Il fatto che l’Iliade sia commentata ed analizzata come opera letteraria fa scordare che si tratta pur sempre di un poema epico, e cioè del racconto delle gesta di uomini d’azione, genere letterario diverso dalle Confessioni o dai Pensieri di uomini per lo più volti alla “contemplazione”. Non che gli uomini d’azione non possano anche dedicarsi alla riflessione su se stessi e sulla propria anima, come in effetti faranno Marco Aurelio e Giuliano, per fare solo alcuni esempi antichi, ma non prendere in considerazione il fatto che il tema dell’Iliade esula per sua natura da questo genere di opere sarebbe assurdo quanto svalutare un trattato filosofico perché non vi si trovano descrizioni di battaglie.

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