Due parole su Zeus…

Quando Zeus sanziona la sua promessa a Teti con un cenno del capo, il poeta con rapidi tratti ne mette in risalto la solennità (Il. I, 528-530):

disse e con i neri sopraccigli annuì il Cronide;
e allora le chiome d’ambrosia del sovrano ondeggiarono
dal capo immortale; fece tremare il vasto Olimpo.

Il discorso su Zeus è comprensibilmente troppo vasto per essere esaurito in un breve scritto: mi limiterò qui ad evidenziare le caratteristiche che fanno di questo dio un vero “signore degli Dei e degli uomini” e ad introdurre alcuni temi che verranno approfonditi maggiormente in post successivi. Desidero far notare come Omero riesca a dotare il supremo degli Dei di forte personalità pur non travalicando mai la misura: sia nelle passioni che nelle virtù non supera mai il limite.

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Antropomorfismo e democrazia

Omero è spesso stato criticato per aver attribuito ai propri Dei un aspetto umano. Il filosofo Senofane, vissuto nel VI secolo aC, criticava l’antropomorfismo degli Dei con la strana osservazione che se buoi e cavalli avessero la possibilità di rappresentare gli Dei li rappresenterebbero come buoi o cavalli; ciò porta in realtà ad una conclusione opposta a quella che il filosofo vorrebbe suggerirci, e infatti non è un caso che solo l’uomo tra tutti gli esseri viventi abbia coscienza del divino e che quindi lo possa rappresentare. Il raffigurarlo “a sua immagine” è una conseguenza naturale del fatto che gli uomini avevano percepito in sé quell’affinità che consentiva loro di concepire la divinità: un vero filosofo avrebbe dovuto almeno chiedersi perché buoi e cavalli non rappresentassero gli Dei, e trarne le logiche conseguenze.

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Uno e molteplice

Il politeismo omerico non elimina di principio l’idea di un’unità che racchiuda in sé la molteplicità: da questo punto di vista non ha una carenza rispetto al monoteismo, bensì un arricchimento, non gli è estranea nella figura di Zeus l’idea di una divinità suprema trascendente, ma al contempo accetta il molteplice senza esclusivismi intolleranti, consentendo ad ogni manifestazione del reale un suo degno posto nell’ordine del cosmo.

Il monoteismo introduce invece il nichilismo escludendo la molteplicità del reale, nel tentativo di mantenere unicamente l’eternità ed immutabilità dell’essere, poiché al di fuori di Dio che solo può fregiarsi dell’essere, tutto il resto, in particolare le manifestazioni sensibili del divenire, finisce con l’apparire un nulla. Per il monoteismo, a parte il Dio supremo, tutto è un mezzo, mentre per il politeismo, qui rappresentato da Omero, ogni ente è manifestazione di un’essenza, in ultima istanza, sacra.

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Mito ed allegoria

Le interpretazioni di Omero in quanto “pensatore religioso” si dividono in due fondamentali posizioni, che comportano due diverse conclusioni: Omero credeva o non credeva nei suoi Dei? Chi pensa che ci credesse lo considera spesso un primitivo un po’ naïf, ma purtroppo anche empio dal momento che avrebbe attribuito agli Dei, oltre ad una forma fisica antropomorfa, alcuni di quelli che gli uomini considerano vizi. Taluni invece sostengono che egli fosse sostanzialmente ateo, o che volesse in realtà criticare la religione dei suoi contemporanei al fine di condurli a credenze più nobili, e che probabilmente a questo scopo si fosse lasciato prendere troppo la mano dalla parodia, oppure che parlasse per allegorie; quindi alcuni hanno sostenuto che semplicemente non credesse negli Dei, sui quali raccontava favolette da bambini, o che personificasse in tali Dei fenomeni naturali o stati psicologici.

Lo scopo naturalmente non è quello di valutare se Omero avesse ragione o torto a descrivere gli Dei in tal modo: più produttivo invece è comprendere le implicazioni del modo omerico di descrivere gli Dei, sia nelle sue conseguenze che nei suoi presupposti. Infatti, come i vari popoli si raffigurano i propri Dei dice molto sugli uomini che in tal modo se li rappresentano e su ciò che essi onorano come manifestazione del sublime.

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